= 5 bicchieri pieni

Permalink
(Questo pezzo puzza un po'; in effetti doveva uscire lunedì. Mi scuso del disguido).

Elezioni: dieci motivi per essere contenti

È stata una settimana difficile. Migliaia di persone hanno riversato su blog e social network la rabbia e la rassegnazione per una sconfitta elettorale che stavolta non sembrava così scontata, e invece... Internet è anche questo: uno spazio dove sfogarsi. Ma prima o poi bisogna tirarsi su. Per questo motivo, invece delle solite teorie, vi offro qui sotto qualche motivo di essere contenti di come sono andate le elezioni. Avete letto bene: motivi per gioire, festeggiare, sperare. Quando ho cominciato a cercarle pensavo che ne avrei trovate soltanto due o tre... beh, ecco qui dieci bicchieri mezzi pieni per sbollire la rabbia. Insomma, poteva andare peggio.

1. Berlusconi crede di aver vinto: lasciamoglielo credere. In queste elezioni non rischiava molto: anche perdendo non avrebbe ceduto un grammo del suo potere; e gli sarebbero rimasti tre anni per prendere le misure e contrattaccare. Un Berlusconi ansioso, affamato di rivincita a tutti i costi, è l'avversario peggiore che ci si possa augurare. Non ci avrebbe risparmiato nessun colpo basso. Molto meglio un Berlusconi relativamente sereno, rilassato, sicuro di controllare ancora il gioco. Colpi bassi ne tirerà comunque: proibirà le intercettazioni, tratterà la Rai come un suo feudo, proverà a riscrivere la Costituzione. Ma se si illude per altri tre anni di avere il polso dell'italiano medio, forse è la volta che riesce a fregarsi con le sue mani.

2. Berlusconi non ha vinto. Il suo partito è in discesa libera ovunque, e questo provocherà degli scompensi nella maggioranza. Da padre-padrone del centrodestra, Berlusconi rischia di trasformarsi nell'ago di una bilancia precaria che deve reggere i leghisti al nord e i baroni del Pdl meridionale. Certo, un modo per continuare ad occupare le scena c'è: se lancia una grande riforma presidenziale, Fini e Bossi saranno costretti a portarlo ancora una volta sugli scudi. Ma poi si dovrebbe passare per il referendum, e la vittoria non è affatto scontata: l'astensione è sempre più alta, e anche tra quelli che sono andati alle urne, soltanto uno su quattro ha votato veramente per lui. A furia di trasformare ogni consultazione in un plebiscito su sé stesso, Berlusconi rischia di andare a sbattere contro un referendum vero.

3. La Lega dilaga in tutto il nord, penetra in Emilia, detta legge. Benissimo. Sarà sempre più difficile, per i leghisti, perpetuare la finzione del partito di lotta e di governo. Prima o poi i nodi vengono al pettine: il federalismo fiscale si farà o è solo uno slogan ripetuto all'infinito? Le città del nord sono diventate più sicure dopo l'istituzione del reato di clandestinità? Nove bambini stranieri per classe possono bastare, o i ghetti scolastici rimangono ghetti? Gli elettori della Lega erano stanchi dei vecchi partiti romani che promettevano e non mantenevano: ora a Roma il partito più vecchio è la Lega. In questi due anni ha riaperto le discariche del nord per i rifiuti di Napoli, e il portafogli per i debiti di Catania e Roma. La gente si fida ancora: si fiderà in eterno? Abbiamo tre anni di tempo per convincere i nostri vicini di casa leghisti che Bossi e compagnia sono una cricca di arruffapopoli ciarlieri e inconsistenti. Non sembra un'impresa così impossibile.

4. Il PD ha perso. Dispiace, ma davvero, forse è meglio così. Un risultato positivo avrebbe congelato l'apparato che resiste all'ombra di Bersani, suggerendo l'illusione che le cose stessero andando bene: ma non stanno andando bene, ed è bene che tutti al PD se ne rendano conto. Meglio una sconfitta di misura, che una vittoria di Pirro come nel 2005. Quella volta l'incredibile punteggio finale (12 regioni a 2 per il centrosinistra!) fece pensare a tutti che l'impero di Berlusconi stesse crollando sotto i colpi di una coalizione di dieci partiti. Questa sconfitta è più onesta: ci mostra dove sono i problemi e ci lascia tre anni per intervenire. Bersani ha trenta mesi per mostrare che il suo partito non vuole cambiar pagina solo a parole. Siccome altri test elettorali per lui non ci saranno, e questo è stato deludente, forse è il caso di pensare a un altro turno di primarie nel giro di due anni. Se avrà fatto un buon lavoro sarà riconfermato.

5. L'astensione è al massimo storico – sì, anche questo fa ben sperare. Significa che là fuori c'è tantissima gente che non crede né a Berlusconi né alla Lega. È quello il fronte da sfondare (non quell'ipotetico “centro” moderato che da anni ipnotizza tutti i leader). Gli astensionisti di oggi non daranno il loro voto di domani a un politico cauto e moderato: se qualcuno riuscirà a portarli nelle urne, saranno senz'altro volti nuovi, con una proposta forte. Abbiamo tre anni (facciamo due) per trovarli, e se non ci sono, inventarceli.

6. Qualcuno già c'è: per esempio, Vendola ha vinto di nuovo. Il candidato meno moderato in una delle regioni più a destra. Quella in Puglia è una vittoria più sua che del PD, ma a questo punto anche i più ottusi dei notabili democratici dovranno prendere atto che l'unico modello davvero vincente per adesso è il suo.

7. Ha perso Brunetta, Superuomo del Fare. Evidentemente anche il monopolio televisivo non è riuscito a vendere ai veneziani il quasi-premio-Nobel iperattivo, capace di combattere l'assenteismo statale durante la settimana e governare Venezia nel week end. Il ministro che più di tutti ha investito su un'immagine aggressiva, ringhiante, incassa una sconfitta che è prima di tutto mediatica. Con Brunetta potrebbe essere entrato in crisi un certo modo di farsi largo nella stampa e in tv, a furia di piccole riforme e grandi tagli annunciati come rivoluzioni epocali (sarà un caso che il ministro più votato, Mara Carfagna, è quello che parla di meno?)

8. Ah, e ha perso anche Castelli. Pur di tenerlo lontano, Lecco ha tradito la Lega per la prima volta in 17 anni. Forse a questo punto nella stanza dei bottoni si renderanno conto che non è questo gran comunicatore, e in tv manderanno qualcun altro, con immediate ricadute positive sul fegato di tanti telespettatori. Un altro piccolo grande motivo per stare allegri.

9. L'antiberlusconismo esiste, e tra IdV e Movimento 5 Stelle vale nove punti percentuali. Una fetta di elettorato importante, da non marginalizzare. Gli elettori antiberlusconiani non sono tutti giustizialisti manettari incantati dai proclami di Grillo. Molti di loro provengono da quel mondo di sinistra che non ha più rappresentanza parlamentare (postcomunisti e Verdi). Altri ancora arrivano dal mondo cattolico, altri sono ex astensionisti recuperati al gioco della democrazia. Per gran parte di loro il berlusconismo coincide con il malaffare e l'ingiustizia sociale, e faranno qualsiasi cosa per opporvisi. Se il PD non li emargina, e fa una scelta chiara di trasparenza, lo appoggeranno.

10. Invece una cosa che non esiste è l'UdC. Perlomeno, non esiste nessun motivo per stringere accordi con un partitino che ormai è un doppione. La Conferenza Episcopale ha fatto la sua scelta, appoggiando il PdL e chiedendo in cambio il blocco della Ru486. Ma i cattolici non sono quel blocco compatto che tanti credono. Ci sono quelli che pensano che la legge 194 vada bene così com'è; quelli sconvolti dalla copertura fornita dal Vaticano ai sacerdoti pedofili; quelli che pensano che il Vaticano debba prendersi le sue responsabilità, quelli favorevoli a un patto civile di solidarietà – in breve, ci sono ancora i cattolici progressisti, e il PD è il loro partito. Non c'è bisogno di ulteriori sbandate al centro per raccattare pittoreschi antiabortisti in cilicio. E questa è l'ultimo, ma non certo il più piccolo, dei dieci motivi che ho trovato per essere ottimisti. Coraggio. La situazione è eccellente.
Comments (39)

Astenersi perditempo

Permalink
I tre astensionismi

A poche ore dalla chiusura dei seggi non è sempre facile capire chi abbia vinto e chi no. Stavolta però c'è qualcuno che la sua vittoria la sta reclamando già da un giorno intero: l'Astensionista. Benché ancora lontano dalla conquista del 50% degli Aventi Diritto, l'astensionismo ha raggiunto in queste consultazioni un ragguardevole 33: un elettore su tre non ha votato. L'astensione, insomma, è il primo partito del Paese, una forza con la quale volenti o nolenti dobbiamo fare i conti. Il problema è che, come in tutti i partiti di massa, anche nell'Astensione ci sono diverse identità. Anche tu, che mi leggi e magari non sei andato a votare, che astensionista sei? In quale di queste categorie ti riconosci? (mi preme saperlo, perché alcuni astensionisti mi stanno sulle scatole, altri no).

L'astensionista mistico
Non sei un semplice non votante, tu sei un attivista dell'astensionismo. C'è gente che manco si è accorta che hanno aperto i seggi, tu al contrario sei stato tra i più attenti all'evolversi di una campagna elettorale che comunque ti faceva schifo sin dal primo giorno. Perché tu, alla politica, ci tieni da matti: è proprio per questo che non vai a votare. Così i politici lo capiranno, che lo spettacolo che stanno dando non è all'altezza del pubblico più evoluto. Tra tutte le schede che non sono entrate nell'urna, troveranno la tua non-scheda, astensionista mistico, e ne capiranno al volo il messaggio profondo: profondo ma abbastanza semplice da poter essere contenuto in un silenzio, qualcosa del tipo Adesso Basta, Andatevene Via Tutti. È facile riconoscere gli astensionisti mistici: in queste ore state festeggiando. Gli editoriali che escono stamattina su tutti i quotidiani, sulla Disaffezione della Gente per la Politica, sono dedicati a voi. Mentre aspettate che diventino gratuiti on line, vagolate sui social network festeggiando e teorizzando: quando saremo il 50% più uno, cosa accadrà? Già, cosa accadrà? Ve lo possiamo anche spiegare, visto che in altre nazioni già succede: un bel niente. Ci sarà qualche editoriale in più sulla Disaffezione della Gente, e dal giorno seguente chi ha vinto le elezioni governerà – sì, anche se è stato votato da una maggioranza della minoranza. Incredibile, vero? È che a voi vi han fatto male i referendum, vi han viziato. Vi siete convinti che qualsiasi baraccone democratico si può fermare nel modo più facile: stando a casa. No, non è così. Anche se ve ne andate, la partita continua. Mica potete portarvi via il pallone.

L'astensionista borghese
La vera novità di queste consultazioni. Forse il caos delle liste e la Santoriade hanno distolto l'attenzione da un fatto piuttosto inconsueto: su Corriere e sul Sole si sono levate voci favorevoli all'astensione. Un nome su tutti si è speso: Montezemolo. Ecco, questi non sono i soliti astensionisti da bar. Questa è gente seria o che almeno ci prova: manda messaggi precisi, sta poi a noi cercare di capirli. Io, lo ammetto, non sono così bravo a capire i borghesi, non è il mio mondo; in ogni caso la mia teoria è che Berlusconi abbia veramente disgustato i più. È un personaggio imbarazzante, va alle feste a Napoli, sorride alle minorenni e si fa fotografare con i villici, De Bortoli non può assolutamente consentire. Costoro, pur osteggiando ormai apertamente il berlusconismo, non possono appoggiare Bersani. Non funzionerebbe, anche se Bersani si spostasse ancora più al centro. Il Corriere non poteva far campagna per Bersani: avrebbe perso copie, senza che Bersani guadagnasse un solo voto. Bersani doveva far bene il suo mestiere, motivando un po' il suo bacino di elettori; nel frattempo Montezemolo e De Bortoli quel che potevano fare per demotivare il bacino berlusconiano lo avrebbero fatto. Purtroppo è stato poco. Ovvero: secondo me questi astensionisti borghesi non hanno vinto, non hanno convinto. Non sono stati decisivi al nord. Ora che è stato dimostrato che la quantità di elettori che il Corriere o Montezemolo sono capaci di alienare a Berlusconi è risibile, quest'ultimo potrà continuare a governare sudamericanamente, fregandosene dei richiami alla moderazione e alla sobrietà che vengono dalle cariatidi di via Solferino: del resto, insomma, chi se ne frega del Corriere quando possiedi Chi, Sorrisi e Panorama? La vera partita era quella, e secondo me l'ha vinta Berlusconi. Tanto per cambiare.

L'astensionista insicuro
Gli astensionisti mistici e gli astensionisti borghesi nei prossimi giorni canteranno vittoria, ma bluffano. Per essere rilevanti, hanno bisogno di fare massa col grosso dell'astensionismo italiano, rappresentato dagli insicuri. Quelli che a votare non ci vanno per dire “no”, ma per ribadire un più umile (ma anche più dignitoso) “non so”. Non sanno per chi votare, ma sul serio. Non si interessano di politica, è un reato? Non lo è. Non sanno chi c'è nelle liste; alcuni probabilmente non sanno nemmeno dove stanno le urne e gli orari di apertura. Oppure sanno tutte queste cose, ma non si fidano ugualmente del proprio giudizio: e allora cosa fanno? Lo affidano a noi, i votanti. Chi si astiene, da sempre, di rimette alle decisioni di chi non lo fa. La democrazia funziona più o meno così. Per questo non esiste, nella nostra Costituzione (e in nessuna altra, che io sappia) un quorum per le elezioni rappresentative. L'insicuro ha diritto a restare tale, ma la sua insicurezza non può pesare sul governo di una nazione.

Da quando è approdata al Suffragio Universale, l'Italia si vanta di avere una delle più alte affluenze alle urne al mondo, e quindi una delle più basse percentuali di astensionisti insicuri. Ognuno si vanta di quel che ha, ma bisogna riconoscere che il basso numero di insicuri non ha mai reso l'Italia una democrazia stabile e matura. È semplicemente successo che l'Italia del nord si trovasse sulla frontiera di un conflitto ideologico e geopolitico, Rossi contro Bianchi; due partiti massa che mobilitavano chierichetti e pionieri, pensionati e malati terminali. È semplicemente successo che l'Italia del centro-sud la compravendita di voti diventasse una delle poche risorse presenti sul territorio. Non siamo mai stati insicuri perché non ce lo potevamo permettere: dovevamo salvare il mondo, o trovare un posto fisso. L'insicurezza era un lusso del mondo libero: roba da americani. Poi un bel giorno gli americani si trovano in crisi e si rimettono a votare: ed ecco che Obama trionfa penetrando nella massa burrosa degli elettori indecisi con una lama retorica neanche troppo affilata. Noi invece arranchiamo, stiamo ancora scoprendo i brividi dell'incertezza.

Io me la prenderò sempre con gli astensionisti mistici e il loro preteso idealismo che si tiene lontano da qualsiasi attrito sulla realtà (un attrito diverso da quello del bambino che pesta i piedi); sfotterò garbatamente gli astensionisti borghesi – ammesso che esistano. Ma per gli astensionisti insicuri ho un grande rispetto. Quando voto, io voto anche per loro. Penso alle mie priorità, ma non dimentico le loro. E siccome vorrei che il mio voto fosse un po' più importante, sotto sotto preferirei che di astensionisti del genere ce ne fossero di più. Tanta gente che di politica non si cura, gente che preferisce le pagine dello sport o del gossip, ecco, se anche volessero disertare le urne un po' più spesso, io non ci troverei niente da dire. Ci vado io per voi, sul serio, vi potete fidare. Poi magari dopo dieci, vent'anni, trovate qualcuno che vi convince sul serio, e vi rifate vedere nei seggi: e a quel punto il baraccone democratico fa un salto di qualità, proprio come è successo con Obama. Ma in questa fase di berlusconismo crepuscolare, con la Lega che nel momento del trionfo non sa bene cosa promettere (il federalismo fiscale, sai che novità), col PD che deve ancora prender forma... sul serio, astenetevi, lasciate fare chi a questa robaccia si appassiona.
Comments (51)

Come può uno scoglio

Permalink
Arginare il mare?

A occhio non mi sembra che sia andata così bene (Ho una teoria #15, sull'Unità.it. Si commenta di là).

Al Popolo della Libertà stavolta la ciambella non è riuscita col buco. Certo, nessuno si aspettava davvero un milione di persone in uno spazio che può contenerne un decimo. Ma per reggere il confronto con le altre manifestazioni di questi giorni, la sua piazza San Giovanni avrebbe almeno dovuto riempirsi, e così non è stato. Le foto dall'alto non lasciano molti dubbi: perfino i tg e la stampa filo-berlusconiana rischiano di commettere un autogol, se insisteranno in questi giorni su una rappresentazione dei fatti troppo distante dal reale. Il monopolio televisivo non significa più controllo totale sulle immagini: le foto viaggiano via Facebook e via mail, e anche il più accanito fan di Berlusconi non può accettare che gli si venda per un milione una piazza di cinquantamila.

Questo non significa naturalmente che S. B. non possa contare ancora sulla più efficace macchina di produzione del consenso mai messa insieme nella storia d'Italia (di fronte a cui veline e cinegiornali del Ventennio impallidiscono ulteriormente). Però anche questa macchina ha i suoi limiti, e li conosciamo. È imbattibile quando si tratta di aggregare il consenso dei telespettatori e portarli alle urne, ma ha sempre fatto una gran fatica a riempire le piazze. Oggi persino i gruppetti spontanei nati su Facebook riescono a organizzare cortei più riusciti di quelli del Popolo della Libertà. La cosa non sarebbe poi così importante; non è in piazza che si vincono le elezioni, e Berlusconi lo sa. Ma allora perché insiste a voler sforzare la sua macchina proprio nel terreno che gli è meno favorevole?

Due settimane fa mi chiedevo, piuttosto incautamente, se Berlusconi ci tenesse davvero a vincere queste amministrative. Mi sembrava svogliato, sulla difensiva. Addirittura rifiutava il ruolo di onnipresente capolista, a cui ci aveva abituato negli ultimi anni, che si votasse per Bruxelles o per Bisceglie. Non ci voleva molto a immaginare che il giocatore esperto fiutasse la sconfitta, e preferisse non firmarla. I fatti delle ultime due settimane hanno smentito la mia teoria in modo spettacolare. Addirittura la prima pagina di “Libero” di sabato presentava un trionfante Berlusconi a pugno chiuso, e come unico titolo un cubitale, nostalgico VINCERE. Insomma, non avevo capito niente, e il minimo che possa fare è ammetterlo.

A mia discolpa posso dire che gli avvenimenti di questi quindici giorni devono aver sorpreso anche Berlusconi e i suoi più intimi collaboratori. Ci si aspettava che il PdL arrivasse alle elezioni come un partito compatto – magari non ancora del tutto amalgamato, ma efficiente: non l'armata brancaleone che litiga fino all'ultimo sui posti in lista e inciampa nelle beghe procedurali. È a questo danno d'immagine che Berlusconi ha cercato di rimediare con una prova di forza organizzativa: una grande piazza da riempire in quindici giorni. Una mossa imprudente, da imprenditore più che da politico. Risucchiato suo malgrado nei gorghi della campagna elettorale per rimediare a un deficit organizzativo, S.B. ha reagito impulsivamente da venditore consumato, tirando fuori l'unico oggetto che negli ultimi vent'anni si è rassegnato a piazzarci: sé stesso. Richiamando a Roma tutti i notabili di partito ha accettato di personalizzare anche queste elezioni (che, per le loro dimensioni locali, sono le meno adatte al suo protagonismo). Ma spingere sul pedale dell'organizzazione, proprio mentre questa mostrava i suoi limiti, è un grosso azzardo, anche per un giocatore come lui. Una sfida a sé stesso e ai suoi uomini. Lui è senz'altro all'altezza della sfida; i suoi uomini, lo si è visto, no. Il flop di piazza San Giovanni mostra in controluce tutti i limiti di un partito mai nato che fatica a tesserare i suoi elettori, e non riesce a uscire dall'ingombrante ombra del Capo.

Poco male, in fondo Berlusconi vince anche da solo. O no? Bisogna riconoscere che fin qui la riduzione della dialettica politica alla polemica tra berlusconiani e antiberlusconiani ha pagato. Ogni volta che è riuscito ad attirare i riflettori su di sé, aizzando i suoi oppositori, Berlusconi ci ha fatto arrabbiare, ma ha portato a casa un risultato. Forse andrà così anche stavolta: forse gli spot generosamente elargiti dai telegiornali gli basteranno per riportare alle urne una percentuale decisiva in qualche regione, quanto basta per poter gridare alla vittoria. Insomma, forse c'è della logica, dietro questo sussulto di protagonismo.

E magari invece no: forse è solo il riflesso condizionato dell'Uomo del Fare, che nemmeno quando il luogo e il tempo non gli sono favorevoli è capace di restare sugli spalti a guardare i pasticci combinati dai suoi uomini. Dirigenti come lui sono spesso programmati inconsciamente per circondarsi di collaboratori mediocri (i più capaci rischiano di oscurare l'astro del capo: fuori Capello, dentro Tabarez). Sarà proprio la loro incapacità a sollecitare l'intervento diretto del Capo. Forse ha indovinato tutto il misterioso dj che tra mille canzoni da far intonare al capocomico La Russa ha scelto proprio Battisti: Io vorrei... non vorrei... ma se vuoi... Berlusconi vorrebbe, non vorrebbe, sa che forse stavolta non gli conviene, ma alla fine lo chiamano e non può sottrarsi. Come può uno scoglio arginare il mare? Anche se non vuole, torna già a volare. Le discese ardite, e le risalite... Vedremo come andrà l'atterraggio.
Comments

Alle mie quotidiane verginelle

Permalink
(An English version)

Con tanto affetto
Buonasera, chi scrive queste righe non è il solito autore del blog Leonardo, bensì Silvio Berlusconi. Cioè io. Sì, sono Silvio.


Prevedo la vostra domanda: come fa Berlusconi ad avere accesso al blog Leonardo? Esattamente nello stesso modo in cui ho avuto accesso ai lotti di Milano2, a Telemilano, a certi fondi che poi sono diventati la Fininvest, alla Mediaset, alla Rai, alla Telecom, a tutto quanto: omissis. Rassegnatevi, probabilmente ho anche la password del vostro blog. Salvo che scrivere sul vostro blog non è divertente. Neanche su Leonardo non è che ci venga così spesso. A volte di notte mi intrufolo negli articoli già scritti, storpio un congiuntivo qua, piazzo un accento sbagliato là, ciò è meglio del sesso.


Stasera però ho deciso di scrivervi una letterina perché vi stimo, cari lettori di Leonardo, e vorrei spiegarvi meglio cosa sta succedendo. Tutta questa fregola procedurale degli ultimi giorni, vi dirò la verità, mi ha un po' colpito. A leggere un po' in giro si direbbe che io abbia fatto un golpe. Il che ci starebbe anche, salvo che l'ho fatto più o meno vent'anni fa. Devo rifarvi il riassunto? Ho occupato una posizione dominante nell'etere televisivo e soprattutto nel mercato della pubblicità audiovisiva; poi ho creato un partito e ho usato tv e giornali per farmi pubblicità, pompando emergenze farlocche come la criminalità. Quando c'erano problemi pagavo chi c'era da pagare, oppure stiracchiavo il processo fino alla proscrizione. Non si contano gli abusi che ho praticato, eppure tutto questo nel giro di una settimana sta passando in secondo piano, rispetto al crimine che avrei commesso, emanando... udite udite... un decreto attuativo. Golpe!


Ma ci siete con la testa?
Ma vi rendete conto che io vi sto fottendo da anni, e che continuerò a farlo? Vi ho rubato l'etere, vi ho rubato l'immaginario, ho preso i vostri sogni e li ho bombati di silicone; vi ho preso i giornali, la scuola, la ricerca! Vi ho succhiato l'anima! E continuerò, perché è divertente! Ma voi vi lamentate perché entrando non mi sono messo le pattine. Poi sareste quelli intelligenti, voi.


Ma sul serio pensate che io quella leggina l'abbia fatta scrivere perché voglio vincere ad ogni costo? Io? Ad ogni costo? Vincere cosa, le amministrative? Io sono il Presidente del Milan, ho messo insieme cinque champions e tre intercontinentali, secondo voi m'interessa un buon piazzamento in Mitropa? Non-me-ne-può-fregar-di-meno delle Amministrative, è chiaro? Anzi, volete sapere la verità? Ci terrei che le vincesse il Pd. Non tutte, ma un bel po'. In effetti sto facendo sponda con Pierluigi.


È un brav'uomo il Pierluigi, abbiamo lo stesso segno zodiacale. Ma soprattutto in questa fase abbiamo interessi in comune. Lui deve dimostrare di saper tirare quella zattera della Medusa che è il Pd (s'intende che in Italia può sopravvivere soltanto l'opposizione che io lascio sopravvivere, ok?) Io per conto mio devo sistemare tutta una serie di beghe interne, purgare il partito, avvelenare i pozzi a Fini, questo genere di cose. Per cui figuratevi se mi può interessare la vittoria della Polverini. A me. La Polverini. Finiana, sindacalista e racchia – ma per chi m'avete preso? Guardate, se fosse per me darei una mano anche a Penati, anche se contro CL a Milano l'è dura. Ma se cascasse il Robertino con tutto il Pirellone, io non ci spenderei nemmeno una lacrima, state pur tranquilli. Quelli devono capire chi comanda, cioè io. Son convinti di poter fare a meno di me da un momento all'altro – di avere la loro rete alternativa coi vescovi, le ausl, la compagnia, le opere... potessi stenderli con un colpo solo, ma credete che non lo farei? Però devo agire con discrezione. Comunque più di così per Penati non posso fare.


Perché, vi chiederete, cos'ho fatto per Penati... Ma insomma, su. L'ho rimesso in gara, col decreto. Adesso sì che può vincere, se siete abbastanza incazzati con me da andare a votarlo. Prima no. Non si può vincere a tavolino in politica, fidatevi. Ma avete capito com'è fatta l'Italia? Vabbè, vi spiego. Ci sono venti regioni. I presidenti delle Regioni contano un sacco. Ma solo se vanno d'accordo coi presidenti delle Province e coi sindaci dei capoluoghi importanti – sennò ciccia, restano chiusi nel palazzo cinque anni a deliberare a vuoto. Adesso voi immaginatevi Penati presidente della Lombardia a tavolino. Gli viene in mente – non so – di riorganizzare le ausl. Va a parlarne con chi, con la Moratti? Gli ride in faccia la Letizia, al Penati. Uè, Penati, cos'è che vuoi fare? Per conto di chi? Me m'ha eletto il popolo sovrano, e te? Vuoi che ne parliamo in una stanza io te e Podestà? Tempo sprecato, non trovi? Da' retta, torna al Pirellone a guardare il tramonto.


Adesso non crediate che io non capisca il discorso procedure. Lo so che sono importanti. Ma c'è anche la sostanza, e la sostanza è che se lasciate il Penati per cinque anni su una poltrona inutile, si deprime lui e vi deprimete anche voi. E io non ve lo posso permettere, sapete? Ho bisogno anche di voi. Ho bisogno di un nemico scattante, che ogni tanto minacci di vincere qualche elezione seria – giusto le amministrative, perché le altre elezioni m'interessano. Scusate, eh! Se le veline e le odontotecniche preferiscono andare a Bruxelles piuttosto che nel Consiglio Comunale di Abbiategrasso. Comunque, se non vincete ogni tanto, il corpo elettorale mi s'ammoscia. Ho bisogno del Pericolo Rosso da sventolare ogni tanto ai miei elettori. C'è bisogno di spiegarvelo? Evidentemente sì.


Allora, la situazione prima di venerdì era questa: senza decreto, la Bonini e il Penati avrebbero avuto le loro vittorie di Pirro. I miei uomini si sarebbero messi a urlare in tutti i giornali e i telegiornali che al popolo era stato tolto un diritto (per una volta magari non avevano neanche torto. Gli togliete un diritto per un timbro?) A voi sarebbe venuta la depressione due ore dopo i festeggiamenti. Lo sapete perché? Perché voi è da anni che sapete di vivere in un regime. Non fate che ripetere, regime!, regime!, regime! Siamo all'ottocentesimo posto per il rispetto dei diritti di sarcazzo. Molto bene. Ma poi dovevate spiegare ai francesi o ai tedeschi che razza di regime sia quello dove vi lasciano vincere elezioni a tavolino per una questione di firme e timbri. Vi rendete conto? Senza questo decreto, sareste rimasti senza argomenti! E vi lamentate pure.


Pensate che io stia giocando sporco? Ma voi non avete nemmeno idea... ma credete che i vostri uomini siano immacolati? Pierluigi? Di Pietro? Sentite, ma avete idea di che mercato ci sia intorno alla composizione delle liste? I radicali – il più pulito c'ha la rogna – hanno fatto presente che le firme di Formigoni erano state autenticate prima che la lista fosse chiusa. Scandalo! Come no! Allora, se io avessi voluto veramente giocare sporco, avrei fatto così: prima vi lasciavo vincere a tavolino, poi un bel ricorso. Dieci, cento bei ricorsi... Andiamo a vedere quante autentiche hanno il timbro giusto con la data giusta, dai, andiamo. Andiamo da Di Pietro. Ehi, a proposito, se a Bologna Errani vince il terzo mandato cosa succede? Perché eh, c'è una legge che dice che non si può, cosa faccio? Non la impugno? Potete impugnarle solo voi? Andiamo a vedere i Radicali, su – quelli che nel 1994 per raccogliere le firme di un referendum si fecero votare una proroga su misura? Ma non capite che quelli conoscono il regolamento a menadito perché sono anni che lo fottono da dietro e da davanti? E voi vi fate dare lezioni di procedura dai... Radicali? Da Miss Disobbediente Civile Bonino? Dove per disobbedienza civile s'intende soltanto disobbedire alle leggi che non piacciono alla Bonino; se a un Berlusconi salta il ticchio di interpretare a modo suo una normativa elettorale un po' ambigua... scandalo! Però poi pretendete di vivere sotto un regime. Allora, decidetevi: se è un regime potrò ben interpretare le normative come mi va. Mi sembra il minimo. Se è un regime dovete rovesciarmi, altro che attaccarvi alle procedure. Pinochet non l'hanno mica sollevato perché si era sbagliato coi timbri.


Lo so che non mi rovescerete mai. È questo il bello. Siete meravigliosi gattini che affilano le unghiette sulla Costituzione. Quanto vi riempie quella Costituzione, è una cosa incredible. Io vi fotto i figli e voi vi lamentate perché non ho usato un timbro tondo. Allora torno a fottervi il cane a voi a fiaccolare perché sulla firma mancava l'autentica. E poi pensate che l'anomalia sia io. Io sono quello che dà un senso alla vostra vita, altroché. Adesso è tutto ok, non capite? Ho fatto la leggina cattiva cattiva e voi potete iscrivervi al gruppo su facebook anti-leggina cattiva cattiva. Se esce il sole potete pure uscire in piazza. A lamentarvi con me? No, macché, ve la prenderete col vecchietto. Siete adorabili. Secondo voi il vecchietto doveva trovare una manifesta incostituzionalità in un decreto attuativo. Ma lo capite che ci sono i giudici per questo? Ovviamente loro me la casseranno. Ovviamente io griderò ai miei elettori che è tutto un complotto dei giudici contro di me. Sono tutti schemi lungamente riprovati in allenamento, dovreste saperli a memoria, ormai. Ma ogni volta che vi fotto, come dire, sembra sempre la prima volta.


Forse è per quello che non riesco a stancarmene.
Grazie per l'attenzione,
Vostro
SB.
Comments (56)

Bisogna saper pppp

Permalink

Stavolta vince mica.
Il bello è che lo sa.
Il brutto è che gli sta bene.

Ho una teoria #13, con un argomento inedito: Berlusconi!
Si commenta di là.

Il capo si è fatto sentire. Dopo aver lasciato per mesi il suo nuovo partito in balia di galoppini riottosi e pasticcioni, all'ultimo momento è intervenuto a salvarlo dall'inevitabile figuraccia. Il PdL si presenterà alle elezioni in Lazio e in Lombardia, malgrado non abbia rispettato le regole: si presenterà, perché il capo ha voluto così, e quel che il capo vuole è legge, pardon, decreto attuativo. Ma vincerà? Non è detto. La mobilitazione democratica degli ultimi giorni potrebbe riportare alle urne una parte dell'elettorato di sinistra fin qui tiepido nei confronti del PD. Il capo probabilmente ha calcolato anche questo. Ma forse la cosa non lo preoccupa più di tanto.

Ho una teoria: forse stavolta a Berlusconi non dispiacerebbe perdere un po'. O al limite pareggiare – il che equivale a una sconfitta, quando ormai si possiede il campo e buona parte degli arbitri. I pasticci di Lazio e Lombardia non sono semplici casi di disorganizzazione, ma indizi del cupio dissolvi, della neanche tanto inconfessabile voglia di autodistruzione che circola al vertice del PdL. Vittorio Feltri già da un po' parla di partito da rifare, di sconfitta probabile; ne parla col tono sgamato a cui erano abituati i lettori di Libero, salvo che ora scrive su un quotidiano della famiglia Berlusconi. Il Giornale non ha pudore a definire il PdL come un “partito di matti” (Sallusti, 1/3/10), a  indicare la necessità di un “azzeramento” dopo le elezioni. Una purga del genere sarebbe difficile da somministrare in caso di vittoria; viceversa, una sconfitta la renderebbe inevitabile. Lo stesso decreto salva-liste avrebbe un senso simbolico: Polverini e Formigoni devono capire che è solo la benevolenza del capo a tenerli ancora in gioco a Roma e Milano. Un'umiliazione per i sottoposti più riottosi (e per le regole della democrazia, il che non guasta mai). L'obiettivo stavolta non sarebbe tanto vincere, quanto liberarsi di quei planetoidi che ruotano intorno al re-sole del PdL sulle orbite più eccentriche: i finiani, gli uomini di Formigoni, e chissà quante altre meteore invisibili dalla nostra distanza.

Certo, immaginare un Berlusconi che sappia perdere, che addirittura programmi di farlo, richiede un certo sforzo d'immaginazione. L'uomo non ha mai mostrato molta sportività nelle sconfitte: non si contano le occasioni in cui ha lamentato i brogli, i golpe, i riflettori spenti che impedivano al suo partito o alla sua squadra la meritata vittoria. È vero, quando gioca non sa perdere. Ma a volte  semplicemente non gioca. Si disinteressa del risultato, si mostra distratto e incostante (come ben sanno i tifosi rossoneri); si smarca al punto che la sconfitta finale non sarà attribuile a lui, ma ai collaboratori che non hanno saputo servirlo. Può darsi che qualche sondaggio riservato gli abbia fatto capire che non è nemmeno il caso di sporcarsi le mani: qualche spot lo girerà, una leggina salva-ritardatari l'ha fatta scrivere, ma il suo nome stavolta non è stampato in cima alle liste. Meglio non rovinare l'immagine di eterno vincente. Probabilmente non ruberà la scena ai candidati: quando è il turno dei perdenti, il capo cede volentieri la ribalta ai sottoposti.

Le amministrative sono le consultazioni più sacrificabili
. Storicamente sono sempre state le più difficili per il centrodestra, i cui avversari godono di un maggior radicamento nelle amministrazioni locali. E allora tanto vale non spendersi più di tanto, anche perché si è già visto cosa accade al centosinistra quando gli si lascia vincere le amministrative.

Accadde nel 2005: Berlusconi governava da quattro anni, quando il suo consenso fu bruscamente messo in discussione da un risultato che sembrava storico. Tutte le regioni d'Italia, fatta eccezione per le roccaforti del lombardoveneto e della Sicilia (e per il piccolo Molise) passarono all'Unione, rinata sulle ceneri dell'Ulivo. Il risultato soffiò sul centrosinistra un'insidiosa ventata di ottimismo. La candidatura (non proprio freschissima) di Romano Prodi non incontrò ulteriori ostacoli; il progetto del PD, viceversa, rimase bloccato; il complicato sistema di alleanze DS-Margherita-cespugli tutto sommato sembrava funzionare. Per qualche tempo Berlusconi sembrò l'uomo del passato. A rileggerle, certe analisi del periodo, suonano surreali: si parla di un leader ormai avviato sulla via del tramonto; di un centrodestra smarrito, incapace di trovare un successore all'altezza. Il sostanziale pareggio dell'anno successivo fu una doccia fredda per molti: cos'era successo? Semplicemente, Berlusconi aveva deciso che voleva tornare a vincere. Cosa che nel 2007 non gli riuscì per poco, e che gli capitò comunque due anni più tardi. La sconfitta del 2005 gli era servita per riorganizzare idee e risorse, mentre nell'Unione ci si accomodava sugli allori. Oggi come ieri, una vittoria alle amministrative potrebbe portarci a ripetere lo stesso errore: illudere i militanti e i vertici del PD che si può vincere così, senza esagerare col rinnovamento, piazzando ai soliti posti i soliti uomini (la candidatura di Errani alla presidenza della regione Emilia è tuttora a rischio annullamento), confidando nella stanchezza dell'avversario, nel suo cupio dissolvi. Ma Berlusconi ormai dovremmo conoscerlo: proprio quando sembra spacciato, si rialza più arzillo che mai. È un vecchio pugile che ha bisogno di prendere qualche botta ogni tanto per sentire l'adrenalina e ricordarsi che è sul ring. Ma una botta non fa primavera: ben altro ci vorrà per mandarlo al tappeto una volta per tutte.

Comments

Freedom Party People

Permalink
Milioni di Milioni

“Ciao! Hai sentito cos'è successo a Roma?”
“Oh, ehi, ciao, sei già qui?”
“Beh, veramente son le otto”.
“Le otto? Scherzi?”
“E cinque minuti”.
“Oddio, ma pensa che... ero qui che erano... stavo cercando una cosa e poi...”
“Ha fatto partire la lavastoviglie?”
“Che? La lavast... io?”
“Lo sai... che di sera poi la signora al piano di sopra si lamenta e al mattino costa di più”.
“Ma sì, il fatto è che mi ero messo qui a fare una cosa ma poi...”
“Vabbè, capito. Il pane?”
“Il pane?”
“Sono io che chiedo a te: il pane?”
“Nel frigo”.
“Il pane?”
“No, scusa ero sovrappensiero... intendo nel congelatore, ce l'ho messo io...”
“Ce l'hai messo sabato”.
“...sì”.
“Domenica lo abbiamo scongelato”.
“...già”.
“E oggi è martedì”.
“Dici che è finito?”
“È da ieri che andiamo a grissini. Ma hai sentito cos'è successo a Roma?”
“Oddiohairagionescusa. Il pane. Ma forse...”
“Dicono che il Pidielle non si può candidare”.
“C'è quel despar che tiene aperto fino alle dieci di sera, se adesso io...”
“Ha chiuso un anno fa. E pare sia stato per colpa di un tale che non ha portato in tempo le firme”.
“Le firme? Per tenere aperto un despar?”
“No, dico, per le liste del Pidielle. Alle elezioni regionali. Bisogna raccogliere le firme, hai presente?”
“Certo che ho presente... quella volta che le raccogliemmo noi... e poi per anni ne avevo i cassetti pieni perché non avevamo fatto in tempo ad autenticarle tutte e inoltre...”
“Allora queste firme le aveva tutte in mano un tale, un funzionario di partito, non so neanch'io bene... le doveva portare tutte sabato entro mezzogiorno, una cosa così...”
“Non le potevo neanche mandare al macero perché contenevano dati sensibili e così... poi non so esattamente dove le ho messe”.
“In garage”.
“Sì?”
“Ma insomma, a parte i grissini cosa mangiamo? Hai pulito dell'insalata?”
“No scusa, hai ragione, è che mi ero messo a fare una cosa che... stavo mettendo giù i verbali dei consigli di dicembre, quando...”
“Ma è marzo”
“Appunto, era una cosa che andava fatta”.
“Ma non potevi farla prima?”
“Prima dovevo finire quelli di novembre”.
“Sei un po' indietro, insomma”.
“Nooo, adesso non va neanche male, c'è stata effettivamente una fase in cui ero un po' indietro col lavoro, ma adesso sto recuperando, senonché a un certo punto mi ha suonato la tipa del piano di sotto che raccoglieva i soldi dell'ascensore”.
“Glieli avevo già dati io”.
“Allora erano quelli della pulizia della scala”.
“Non li raccoglie lei”.
“Allora erano per qualche altra cosa che non ricordo, in ogni caso non erano neanche tanti, non è questo il punto, il punto è che mi ha fatto improvvisamente venire in mente che scadeva il canone”.
“È scaduto la settimana scorsa”.
“Sì, ma si fa ancora in tempo a pagare poco di mora, tu fidati, io sono professionista della mora”.
“Un pirata ed un signore”.
“Eh? Ah. Ha ha. Allora mi precipito in posta”.
“Ma si può pagare in tabaccheria”.
“Se per questo anche col bancomat”.
“E allora perché non hai provato al bancomat qua dietro”.
“Perché ero di corsa e non avevo il bancomat con me”.
“Potevi salire a riprenderlo”.
“Ma no, perché... la signora che mi vede scendere... poi mi vede risalire e... pensa male di me e...”
“Non avrebbe tutti i torti”.
“Appunto, allora mi precipito in posta”.
“Ma perché non in tabaccheria?”
“Perché non ci ho pensato. E poi ti ricordi quella cartolina con sopra scritto Atti Giudiziari che è arrivata tipo tre mesi fa? Ho pensato che già che c'ero magari andavo a darci un'occhiata, e quindi mi metto in fila col numeretto”.
“No, il numeretto no”.
“Appunto, sono lì che faccio la fila quando non t'immagini chi incontro. La padrona di casa di dove stavamo prima. Mi ha detto che cercava proprio me”.
“Ti cercava in coda alla posta, ha un senso”.
“No, no, era lì per altri motivi, è stata una coincidenza. Dunque mi spiega che ci stanno ancora arrivando un sacco di bollette nella vecchia cassetta della posta”.
“Stai dicendo che sono tipo sei mesi che arrivano bollette e non le paghiamo?”
“Ma tanto le avevo tutte domiciliate”.
“Le avevi domiciliate sul tuo conto”.
“Sì”.
“Quel conto che hai chiuso perché una volta hai confuso i blocchetti degli assegni, e hai fatto uno scoperto di trecento euro, e loro non ti hanno avvertito, e adesso sei nell'albo internazionale dei Cattivi Pagatori”.
“Adesso non rivanghiamo”.
“E quindi spiegami, se continuano a mandare bollette al vecchio indirizzo e sono domiciliate a un conto che hai chiuso, chi mai le pagherà?”
“Ma infatti mi sono posto il problema, e quindi mi precipito subito a casa”.
“Hai pagato il canone almeno?”
“No, non... non era più la priorità”.
“E allora perché non sei andato dalla vecchia a farti dare le bollette da pagare?”
“Non poteva darmele. Serve la chiave della cassetta”.
“E lei non ce l'ha”.
“No, perché...”
“Tu non gliel'hai mai resa, vero?”
“Può darsi che io abbia scordato... magari volevo prima assicurarmi che non arrivasse più posta, e allora...”
“Dove l'hai messa?”
“Ecco, appunto. Sono tornato a casa a cercarla e...”
“E sono venute le Otto”.
“Già”.
“E io ti ho sposato”.
“Senti, non è nulla che non si possa risolvere, davvero. Domani sul presto vado dalla signora con un cacciavite e...”
“Va bene, va bene, adesso parliamo d'altro, eh?”
“Sì”.
“...”
“Stavi dicendo una cosa di Roma, mi sembra”.
“Sì, beh, c'è un tale che... doveva portare le firme per le liste del Pidielle entro il mezzogiorno di sabato e sul più bello... se n'è andato”.
“In che senso andato”.
“Lui dice a prendere un panino”.
“Vabbè, è una scusa”.
“È pessima anche come scusa. C'è chi dice una telefonata dall'alto. Voleva cambiare un candidato all'ultimo momento. Certo che son cialtroni, proprio”.
“Eh già”.
“Cioè, uno se li immagina pieni di difetti... avidi, cafoni, maiali... però ti aspetti che almeno il loro lavoro lo sappiano fare, e invece no...”
“E invece no...”
“Che tanto poi la gente li vota lo stesso, anzi. Ma uno pensa: come si fa a votare della gente del genere? Cioè, anche se alla fine li riammetteranno, uno pensa, ma chi è che può sentirsi di votare per dei cialtroni così? Chi è che ha il coraggio di mettere una croce sul...”
“Sul Piddì”.
“Sul Piddì. Ma no, scusa, che Piddì. Sul Piddielle!”
“Ah, già, sì, Piddielle. È che sono tanto simili, sai, a volte...”
“Non dirmi che li confondi”.
“No, no. Anche se...”
“Anche se?”
“Certe volte, quando sono un po' sovrappensiero, io...”
“Ma tu sei sempre sovrappensiero”.
“Eh”.
“Senti, mi stai dicendo che potresti aver messo una crocetta sul Piddielle per sbaglio?”
“...”
“C'era anche scritto “Berlusconi Presidente”. Non puoi aver messo una crocetta su Berlusconi Presidente”.
“Beh, ma sai, questa cosa della crocetta, io... Magari stavo pensando ai fatti miei, un po' di incazzatura per come vanno le cose... entro nella cabina, vedo Berlusconi Presidente e penso: Te lo do io Presidente! Zac, zac, tipo Zorro, no? Ma con la matita”.
“Ma non fai la Zeta”.
“No, credo di no”.
“Hai fatto una X”.
“Amore senti non so cosa m'ha preso io...”
“Hai votato Berlusconi”.
“Non ero neanche esattamente io, una voce nel mio cervello, mi hanno fatto il lavaggio... non so come sia potuto succedere, è solo che...”
“No, ma guarda hai fatto bene”.
“Perché dici così?”
“Perché ti rappresenta, in un certo senso”.
“Ma non te la prendere, non è nulla di irreparabile, io... io domani vado col cacciavite dalla vecchietta, spacco tutto, tiro fuori le bollette, vado in posta... prendo anche il canone...”
“Puoi pagare tutto in tabaccheria”.
“Ecco, sì, in tabaccheria”.
“E poi finirai i verbali di dicembre”.
“Ah già, giusto, i verbali... mi stavo dimenticando...”
“E io ti ho sposato”.
“Vedrai, vedrai, si sistema tutto. Con calma. Domani”.
Comments (17)

Gli uomini prima del diluvio

Permalink
Potete immaginare di vivere cinque anni senza di lui?
(Sì). (In effetti non sapete manco chi sia). (Ecco, appunto).
Altri dettagli in Ho una teoria #10, sull'Unita.it (dove temo che i commenti non funzionino).

"Qualche cosa può essere sfuggita", dice Bertolaso. Potremmo fare il piccolo sforzo di credergli, perché no? Dal 2008 in qui il capo della Protezione Civile è stato sottosegretario all’emergenza rifiuti in Campania; commissario dell’area archeologica romana; e ancora commissario straordinario per il terremoto dell’Abruzzo (con annesso vertice g8), per le eruzioni nelle Eolie, per le aree marittime di Lampedusa, per la bonifica del relitto della Haven, per il rischio bionucleare, per i mondiali di ciclismo e per qualcos'altro che mi sarà senza dubbio sfuggito... In mezzo a tanti impegni un cantiere alla Maddalena potrebbe effettivamente essere passato inosservato: ma anche sforzandoci di credere alla sua buona fede, come possiamo giudicare un sistema che considerava qualsiasi evento importante un’emergenza (i mondiali di ciclismo...) e ogni emergenza degna dell'intervento di un singolo uomo? Non c’era in Italia un’altra persona preparata in grado di gestire almeno un’emergenza su cinque, qualcuno che potesse gestire con più attenzione i cantieri della Maddalena mentre Bertolaso volava in Abruzzo a soccorrere i terremotati?

Ho una teoria: Bertolaso – che non nasce berlusconiano – è rimasto suo malgrado intrappolato nella categoria berlusconiana degli “uomini del fare”. Vere e proprie incarnazioni della Provvidenza, gli Uomini del Fare risolvono i problemi da soli, in poche mosse. Moderno Cesare, l'Uomo del Fare viene, vede, vince, e vola a farsi un massaggio antistress. Stress che si lascia facilmente spiegare: gli Uomini del Fare non lo dicono, ma devono essere circondati da incompetenti a cui non potrebbero cedere nemmeno un decimo delle loro responsabilità, senza correre il rischio che tutto il loro lavoro crolli come un castello di carte. Dopo gli Uomini del Fare c’è sempre il diluvio.

Prendiamo la Lombardia. La più popolosa regione d’Italia, saldamente in mano a una classe dirigente di centrodestra che negli ultimi quindici anni dovrebbe avere espresso e cresciuto numerosi validi amministratori… e invece no, pare che l’unico in grado di mandare avanti la regione, da quindici anni a questa parte, sia Roberto Formigoni. Dopo aver surclassato il record di Franklin Delano Roosvelt (appena dodici anni alla Casa Bianca), il governatore lombardo punta ora a completare il ventennio, un primato senza molti precedenti nelle democrazie moderne (persino in una democrazia sui generis come la Federazione Russa, dopo otto anni di presidenza Putin si è dovuto trovare un altro incarico). Certo, dietro Formigoni c’è un compatto blocco di potere.. Ma sarebbe nell’interesse di qualsiasi blocco di potere rinnovare i propri uomini ogni tanto: giusto per non dare l’impressione che dopo Formigoni ci sia il diluvio. Tanto più che una sua eventuale rielezione rischia di risultare illegale: la legge 165 del 2004 vieta esplicitamente la rielezione dei presidenti delle regioni dopo due mandati consecutivi (quello di Formigoni sarebbe il quarto). Ne ha scritto di recente, sulle colonne dell’Unità, il professore di diritto costituzionale Vittorio Angiolini. L’ineleggibilità di Formigoni, già lungamente dibattuta in rete (tra i primi a parlarne Luca Sofri e Giuseppe Civati nei rispettivi blog) non ha forse ancora avuto sui quotidiani la visibilità che meriterebbe. Gli stessi avversari di Formigoni esitano a sollevare la questione.

Non è difficile capire perché: basta attraversare il Po per trovare un’altra grande regione (l’Emilia-Romagna) governata da un Uomo del Fare (Vasco Errani, PD) che gareggia per il suo terzo mandato. Una sua vittoria (probabile) non sarebbe meno illegale di quella di Formigoni a Milano. Ma il caso di Errani è, se possibile, più preoccupante, perché dimostra che la categoria degli Uomini del Fare sta penetrando anche nelle regioni storicamente di sinistra (per carità non chiamiamole più “rosse”). Ma davvero l’elettore emiliano di sinistra è così incline al culto della personalità? In realtà finora ha dimostrato il contrario, confermando al governo della regione e di tante amministrazioni locali una classe di funzionari piuttosto efficiente, ma che non brilla certo per eccessi di protagonismo; tanto che a parte l’eccezione rilevante del piacentino Bersani, gli amministratori emiliani non hanno mai avuto brillanti carriere a livello nazionale (viceversa sono stati personaggi carismatici alla Cofferati ad avere i loro problemi con la base emiliana). Lo stesso plurigovernatore Errani non è mai stato una celebrità alla Formigoni, e difficilmente lo diventerà anche dopo una terza vittoria. Chi andrà a votarlo, più che l’Uomo, premierà la continuità, la tradizione, forse anche l’appartenenza… tutti valori che potevano essere espressi da qualsiasi altro amministratore emiliano capace, purché il PD lo candidasse. Riproporre invece per la terza volta lo stesso Uomo, per quanto validissimo (ma se è così bravo, possibile che non gli si possa trovare nessun altro incarico all’altezza?) lascia intendere che anche nella sinistra emiliana, dopo Errani, non ci sia che il diluvio. Una prospettiva, per chi ha meno di quarant'anni, abbastanza inquietante.
Comments (19)